12 marzo 2011
Lo sport azzurro e quel sentimento nazionale
La prossima settimana l’Italia taglierà il traguardo dei 150 anni dell’Unità. Il Csi - così come altre componenti sportive - festeggerà la ricorrenza sui campi di gioco, portandovi il Tricolore e spendendovi alcuni gesti semplici che sottolineino, soprattutto a beneficio dei più giovani, il valore dell’unità nazionale. È una partecipazione affatto retorica, che si alimenta della consapevolezza di quanto lo sport ha dato per costruire e tenere vivo nel Paese il sentimento di essere davvero una Nazione e non solo un’espressione geografica e politica.
La prossima settimana l’Italia taglierà il traguardo dei 150 anni dell’Unità. Il Csi - così come altre componenti sportive - festeggerà la ricorrenza sui campi di gioco, portandovi il Tricolore e spendendovi alcuni gesti semplici che sottolineino, soprattutto a beneficio dei più giovani, il valore dell’unità nazionale. È una partecipazione affatto retorica, che si alimenta della consapevolezza di quanto lo sport ha dato per costruire e tenere vivo nel Paese il sentimento di essere davvero una Nazione e non solo un’espressione geografica e politica. Compito questo fondamentale, ben racchiuso nel motto attribuito a Massimo D’Azeglio “Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani”, che sottolineava appunto la difficoltà di dover creare un’identità di popolo dove per secoli c’erano stati particolarismi e rivalità regionali. Candidò Cannavò rivendicava allo sport che l’Italia si sentì per la prima volta autenticamente unita - geograficamente e nello spirito - quando, nel 1909, il primo Giro d’Italia legò Nord, Centro e Sud, nel tripudio di un pubblico che non era più composto da lombardi, toscani, campani o abruzzesi, ma semplicemente da Italiani. Lo stesso Cannavò ebbe modo di scrivere, a proposito del primo Giro d’Italia post-bellico, nel 1946, che nell’Italia ancora straziata dal dolore e coperta di macerie esso fu «oltre che un immenso e commovente evento sportivo, il primo atto politico unificante del nostro dopoguerra». Si potrebbero citare tanti altri episodi del genere. Nel 1970, quando l’Italia aveva già conosciuto la strage di Piazza Fontana, la contestazione giovanile e l’autunno caldo, il Tricolore, durante il Mondiale in Messico, fu appeso alle finestre e fatto sventolare da caroselli di macchine in ogni angolo della penisola. E all’indomani dell’impresa Mundial del 1982, in cui la nazionale di Bearzot aveva fermato l’Italia per un mese intero, il presidente Pertini riconobbe che era stato un mese tutt’altro che sciupato. «Il mese dei Mondiali - disse - ha fatto bene al Paese». Gli aveva restituito un po’ di serenità. Oggi come allora, coagulare il sentimento nazionale, riportare d’attualità la bandiera nazionale, è un impresa che riesce soltanto allo sport azzurro. Ma qualcosa è cambiato, nello sport e nella società, e oggi quel compito comincia ad investire anche lo sport di base. Alla pratica sportiva giovanile le massime organizzazioni internazionali affidano la speranza di fare crescere nei Paesi industrializzati la coesione sociale. Questa, infatti, è oggetto di crescente preoccupazione. In parte, ciò accade perché la diversità sociale ed etnica sta rapidamente aumentando ovunque, e le diseguaglianze sociali ed economiche stanno anch’esse crescendo. Incidere nella storia nazionale, non è più un optional ma un obbligo che tocca ognuno di noi.